“Indiscrezioni dal fortilizio”: la raccolta del
poeta maceratese
Marzo 23, 2021 16:11
La poesia di Sergio Carlacchiani ….
di Domenico Pisana
Indiscrezioni dal fortilizio è la raccolta poetica che Sergio
Carlacchiani ha dato recentemente alle stampe per le
Edizioni RPlibri. Un testo poetico che definirei di “rottura e
fuori dal coro” rispetto a tanta produzione poetica del
nostro tempo, atteso che l’asse contenutistico e la
strutturazione formale e stilistica obbediscono ad un
sentire nel quale la vita si manifesta nelle sue spinte
fosche, nelle forme di una “bruciante oscurità”, nella
fisionomia di una frontiera giornaliera caratterizzata da un
“disastro” da affrontare.
Quella di Carlacchiani è una “poesia ininterrotta” di
marinettiana memoria, che elimina la punteggiatura,
dispone il costrutto poetico così come nasce, nella assoluta
libertà, opponendosi pertanto alla sintassi tradizionale e
alle regole della metrica; ne nasce una “coscienza poetica
in libertà” che fa di lui un “artista totale” che tocca vari
tasti dell’arte: la voce, la pittura, la poesia, la narrazione,
presentandosi, così, pienamente inserito nella vita sociale
della sua terra e imponendosi non solo per i suoi versi ma
anche per esperienze e composizioni vocali e teatrali, per
doppiaggi e per la realizzazione di opere figurative e,
financo, di cura di spettacoli.
La scelta del titolo dato alla silloge, che si avvale anche di
un apparato iconografico, contiene in sé la forza propulsiva
della sua poesia; il “fortilizio” di Carlacchiani non è
certamente un luogo di chiusura, una sorta di torre
eburnea dalla quale contemplare il mondo beandosi con se
stesso, quanto il “luogo dell’ermeneutica” da dove egli
grida interrogativi laceranti, disvela “la follia del mondo”
creando azioni e reazioni tra tragico e sublime, prospettive
visive e analogie grazie ad una geometria di parole,
immagini e affabulanti modi espressionistici con cui si
“finge poeta” trascorrendo intere giornate a scrivere:
Passo intere giornate a scrivere
a fingermi poeta facendo scempio
delle parole senza alcun ritegno
quando poi annotta e crolla questo
fragile regno torno al solito ruolo
quello di portavoce della poesia vera
espio una mera pena che m’infliggono
i poeti incazzati laureati di solito risibile
mi sgridano anche i più acclamati conosciuti
quelli che scrivevano in maniera incomprensibile.
(Mi fingo poeta)
Il mondo poetico di Carlacchiani è capace di farci entrare
nel grottesco della vita con le sue illusioni, allusioni e
indiscrezioni; la stessa strutturazione a piramide di certi
componimenti è funzionale alla rappresentazione di ciò
che dagli altri è spesso giudicato strano e anormale.
Carlacchiani è, insomma, un autore di originalità chiara,
non riconducibile a schematismi o formule letterarie;
entrare nei suoi componimenti è come entrare nel caos,
nel grottesco, nell’apoteosi dell’assurdo sospeso tra la sua
visionarietà e le prestazioni della sua fantasia:
“In questo tempo non ordinario non sono come voi
mangio quando mi ricordo e ahimè io non ricordo.
In questo tempo non ordinario non sono come voi
non posso rimandare i pensieri non posso creare
un domani è all’oggi che devo appartenere e frugare
dentro le coscienze apparenti umiliate obnubilate.
In questo tempo non ordinario non sono come voi
il percorso poetico è un destino la parola data
è l’unica promessa per me non solo lei resterà…”
(Non sono come voi)
Dal suo “fortilizio” e con il suo esilarante estro, l’autore si
muove come un acrobata che fa salti mortali per
raccontare perché Dio lo ha abbandonato, che cos’è
l’amicizia, la speranza, la follia, la sofferenza, l’umiltà, la
pietà, la Provvidenza, la giustizia e l’attesa; e lo fa con il
ricorso ad una versificazione che opera una rottura nei
confronti di una poetica aulica e che invece privilegia un
poetare che ama manipolare la parola sui propri
sentimenti e sugli stati d’animo, quali “amicizia”,
“speranza” , “umiltà”:
“L’amicizia sceglie e si stanzia nell’anima
è una lampadina che non si spegna mai
vicina o lontana non fa gesti eclatanti
quando vuole chiama resiste alla realtà
certo che non è amore quel tipo d’amore
ma passione sentimentale comunque sì
ricordare i pregi? I difetti? I pettegolezzi?
L’amicizia vera dura più d’un matrimonio…”
(L’amicizia)
“La speranza cerco un senso di delicatezza di grazia
un’esplosione luminosa nascosta di vita aurea sublime
che s’insinui dolcemente nell’anima e la blandisca
un miracolo azzurro d’acque limpide e verdi gemme
che chieda alla fonte specchiante pace serena visione
un’aspettativa che brancoli nel buio ma non impauri
prosegua nei tentennamenti nel percorso onnipresente
e percezione vera anelata nella dimora viva della sete
sia per l’oppressa umanità mormorio di beatitudine”.
(La speranza)
“Ho sempre desiderato essere umile non umiliato
mettermi in discussione imparare ad ascoltare
dichiarare una sconfitta senza vergognarmi
l’errore lo considero solo un’opportunità
ci rende più o meno uguali più normali
conquistare con grazia l’umiltà una meta
come avere modesta considerazione di sé
non mi è dovuto niente se non lo merito
seppure lo dovessi meritare guai a me!
(Conquistassimo l’umiltà!)
La rievocazione della contemporaneità si muove, in questa
silloge, tra pieghe sociali attraversate da lampi di riso, da
scatti di umanità e di pietà, da quel continuo abbandono
del poeta al lavoro della fantasia, alla poetica della
provocazione e a quella sottile passione per la franchezza,
l’ironia e la satira, che sono la costante della visione della
sua vita. E così, viene da chiedersi se è poesia quella di
Sergio Carlacchiani. Anzi è lui stesso a chiedersi: “potrei
essere poeta anch’io?”:
Ci appressiamo alla meta
Come altri poeti scrivo
leggono loro come cani
se scrivessi come cane
potrei essere poeta anch’io?
O no? Ecco non se ne parli più
non è importante sapere se questa sia poesia
quel che seriamente scrivo è vera vita forse mia
fantasia per dimenticare tutto ciò che viene mentito
l’esistenza con lei ha un altro sapore mette appetito
in questo modo tutto scorre via sentito dentro in uscita
la partita è perbene perdere tempo soluzione non segreta
la poesia è sorella madre figlia è la mia famiglia discreta
stiamo vicini aggrappati sereni ci appressiamo alla meta.
(Ci appressiamo alla meta)
I versi di questa raccolta di Carlacchiani ci fanno per un
attimo pensare alla poesia “Chi sono? del grande poeta
Aldo Palazzeschi, il quale ribaltando l’immagine
tradizionale del letterato-poeta, interpreta se stesso come
un poeta-giocoliere, un “saltimbanco”: “Chi sono io?/ Il
saltimbanco dell’anima mia”, dice Palazzeschi al verso 21;
e così opera una demistificazione della tradizione lirica
precedente, che, ai sui occhi, si era ormai ridotta ad una
ripetizione acritica di tematiche e forme precedenti.
Sergio Carlacchiani abbiamo l’impressione che si muova in
questa direzione, prendendo le distanze dal molteplice
poetare contemporaneo; egli con i suoi versi si mostra
“irriverente”, rifiuta etichette e forse anche quello di
poeta, che in molti invece ambiscono mettere in evidenza.
Eppure le sue composizioni poetiche non sono astratte,
convenzionali né auliche, ma possiedono una forza
comunicativa dirompente, una capacità di entrare
nell’animo umano e nelle pieghe di una esistenza confusa
e smarrita; dentro i suoi versi lunghi e ininterrotti di “poeta
irreverente” fluiscono sentimenti, passioni, emozioni,
irritazioni, denunce, sogni, dolori, ansie, follia e nostalgia,
tutti lemmi che diventano “parole-chiave” dei suoi
componimenti.
Sul piano stilistico e formale, riteniamo che dietro ogni
composizione c’è l’epifania poliedrica del poeta, del
pittore, della voce narrante, dell’attore, che si traduce in
realtà in una struttura poetica attentamente studiata e
calibrata.
Indiscrezioni dal fortilizio ha una struttura libera e – come
dicevamo – canta fuori dal coro; la preminenza del gioco
fantastico della parola, la forza istintuale dei sentimenti e
l’intento eversivo teso a liberare la parola poetica dalla
maglie di formule vuote di forza espressiva, ne fanno una
raccolta diversa che scardina, sull’onda di correnti
letterarie del ‘900 come quelle futurista e avanguardista, i moduli metrici tradizionali, prediligendo il ritorno a
soluzioni sperimentali rispetto alla tradizione poetica:
“Siamo poesia matasse di nuvole da disbrogliare
Anime belle siamo fantasia incontri casuali velati di
malinconia
ottime scelte marionette senza fili preghiere diventate
musica
conforto che l’esistenza propone nello smarrimento
quando
il tempo è sospeso tenuto vivo dalla parola indefinibile
salvata
dal manicomiale chiacchiericcio anestetizzante d’un
pedante
niente borghese che tutto vuole inghiottire siamo strani
ritratti
scontornati dal vento parliamo ai silenzi di tesori chiusi
dentro
imperscrutabili solitudini siamo come voli sospesi leggeri
sacri
chiamati dalla bellezza al sacrificio di schiudere ostili
oscurità
colme di sofferenza che nell’aldilà accompagnano e
resistono
con lo sguardo imperturbabile aperto rivolto a un cielo di
vita
che sbroglia matasse di nuvole per farne poesia a Dio
gradita”.
(Siamo poesia matasse di nuvole da disbrogliare)
Questa raccolta, per concludere, ci sembra rispondere a
quanto affermava Valéry nella “Crise dell’esprit” del 1919,
ove sosteneva: “L’Amleto europeo osserva milioni di
spettri, pensa alla difficoltà, anche al fastidio, di
ricominciare il passato, alla follia di volere innovare
sempre, e oscilla tra due abissi, perché due pericoli non
cessano di minacciare il mondo: l’ordine e il disordine”. E
così, i poeti – direbbe Montale – “possono scrivere prose
classicamente tradizionali e pseudo versi privi di ogni
senso”, oppure scrivere versi per essere urlati in un parco
o – come sostiene sempre Montale – “in una piazza
davanti ad una folla entusiasta. Ciò avviene soprattutto nei
paesi dove vigono regimi autoritari. E simili atleti del
vocalismo poetico non sempre sono sprovveduti di
talento”(cfr. Eugenio Montale, Edizione speciale UTET,
1977).
Ed è quel talento che esplode in Sergio Carlacchiani, che
non è certo arrivato adesso, se è vero che ha attraversato
nel tempo sentieri culturali di notevole spessore che lo
hanno visto cimentarsi in diversi campi come attore,
regista, doppiatore, poeta, performer e pittore,
assumendo anche la direzione artistica di varie rassegne
teatrali, tra le quali “Donna/Modello”, “Poeti e Poesie da
Decl/Amare”, “Live Poetry”, “Vita Vita” e “Poesia in Vita”.
E’ stato, altresì, voce narrante in diversi film,
cortometraggi, documentari, e più volte ospite di
importanti trasmissioni radiofoniche, oltre a quelle
televisive, in Rai ed emittenti regionali e locali, nonché
interprete di grandi poeti della letteratura italiana e stranieri, quali Leopardi, Petrarca, Montale, Carducci,
Pascoli, D’Annunzio, Pasolini, Garcia Lorca, Pessoa e
Neruda.
La sua personalità e abilità artistica starebbero
sicuramente strette dentro un canone poetico classico, il
che spiega la sua scelta di campo di una versificazione che
va oltre le restrizioni formali propri della tradizione poetica
classica, che , se spinti all’eccesso, finiscono spesso per
riproporre un presente alla maniera del passato
producendo solo vuoto e retorico accademismo; forse è
presente in Carlacchiani, che conosce bene i grandi classici
perché li recita nei teatri, la necessità di innovare
operando una “riconciliazione” tra scrittura poetica e
storia, e attivando un equilibrato rapporto tra “ordine e
senso dell’avventura”. Ad ogni modo nei suoi testi poetici
c’è un modo di guardare le cose della vita e la società
contemporanea che sembra andare di pari passo con
quella coerenza intellettuale che supera ipocrisie e retorica
e il cosiddetto “poetese”; da qui la sua rottura e
contrapposizione agli schemi prefissati, utilizzando un
personale e indipendente repertorio tematico e prosodico,
financo nel firmare i sui versi: “sergio e Basta!”.